domenica 24 novembre 2013

Lost and found

Premessa: partenza domenica mattina, passaggio in auto ore 8 fuori casa, mi trovo nel tardo pomeriggio di sabato con valigia ancora da preparare. Esco alle 19 per un aperitivo, "poi torno, preparo il bagaglio, mi sistemo la barba e più tardi esco". Sono rientrato nove ore dopo, in condizioni non pessime ma nemmeno fresco come una rosa, e ho riempito il valigione ridendo come un idiota pensando a quanto fossi idiota a trovarmi in quella situazione.
Nonostante la schematicità dei preparativi che in genere mi mette al riparo dalle sorprese, una volta partito ho constatato i seguenti inconvenienti:
- fazzoletti di carta dimenticati, ma trattandosi di una semplice precauzione e non avendo contratto alcun disturbo influenzale o respiratorio, peraltro non troppo improbabile causa predilezione degli americani per l'aria condizionata sparata a chiodo, non ne è conseguito alcun disagio
- errato conteggio delle notti che avrei passato fuori, necessario per risolvere l'equazione:
n°di paia di boxer/calzini = n°di notti fuori + 1
ma trattandosi anche in questo caso di un coefficiente di sicurezza, e non essendoci stati imprevisti, nessuna conseguenza degna di nota
- adattatore per presa americana clamorosamente lasciato a casa, roba che nei giorni precedenti la partenza mai ci ho pensato, una sorta di rimozione staliniana dell'oggetto dalla mia mente

Mi ero stupito della facilità con cui giovedì avevo ritrovato in pochi minuti tutto lo stretto necessario per andare negli USA: passaporto, modulo ESTA, 21 dollari in contanti (per le mance, tutto il resto lo paghi comodamente con carta di credito) (quando non te la bloccano, ma questa è un'altra storia, o se preferite è il Giorno della Marmotta) e addirittura la tessera Marriott Rewards che avevo usato una sola volta nel 2010. Temevo di scordare qualcosa di fondamentale. E difatti.
Vabbè, poco male, per una volta che ti scordi l'adattatore. Già, per una volta. Peccato che sia l'ottava volta che vado negli USA e nel 50% dei casi mi sia scordato a casa il maledetto apparecchio.
E dunque ieri ho risistemato l'arsenale, che con il nuovo arrivo (aeroporto di Francoforte, 16 euro di ladrata) assume questo aspetto:


Quelli bianchi sono le new entries (USA e UK), quello piccolino nero quasi invisibile poco più in basso è il primo che acquistai, il set azzurro l'ho comprato da Mediaworld e mi permette di andare ovunque, anche in paesi non riconosciuti dalle Nazioni Unite, il parallelepipedo nero ingombrante come un carrello appendice è un altro multifunzione trovato da Walmart, in più avendo acquistato anni fa un netbook oltreoceano ho pure il cavetto di alimentazione con presa americana.

Le sorprese non è che sono finite qui. Perché questi adattatori stanno in una scatola delle cianfrusaglie che ha saputo regalarmi altre emozioni. Cosa ci facesse lì dentro una scheda MicroSD da 4 GB nuova e ancora imballata non me lo so spiegare, ma ancora meno mi spiego come abbia fatto a ritrovare quanto segue:


È un supporto da agganciare sotto il sellino della bicicletta al quale fissare la catena flessibile con lucchetto, e la relativa chiave. I miei lettori più affezionati hanno già capito di cosa sto parlando, per gli altri questo è un breve riassunto documentato: era la fine di agosto del 2012, dovevo rientrare al lavoro dopo la chiusura estiva e avevo la bicicletta legata in garage, senza che riuscissi più a trovarne la chiave; dopo un paio di settimane, decisi di adottare il metodo drastico per riprendere possesso del mio velocipede; mesi dopo, luglio 2013, sono a Valencia in vacanza e nella tasca di un paio di bermuda ritrovo la chiave che avevo smarrito; ora, a 17 mesi di distanza, ritrovo anche l'altra copia.
La cosa grottesca è che sto disperatamente cercando la seconda chiave del nuovo lucchetto, poiché la prima si è rotta nella serratura, fortunatamente col lucchetto legato al portapacchi e non alla ruota; e, manco a dirlo, non sono più in grado di trovarla.

mercoledì 20 novembre 2013

Hanging on the Telephone

Col mattone non ci si guadagna più nulla. Le banche sono poco sicure, e danno una rendita infima.
Avete due soldi da parte e non sapete dove investirli? Io consiglio le tessere telefoniche prepagate di AT&T, per chiamate internazionali da numero fisso con credito a scalare.

 
Può sembrare un business bizzarro, ma facendo un breve salto nel passato posso spiegare meglio la situazione. Correva l'anno 2010 ed ero al mio secondo viaggio di lavoro (breve, come sempre) negli Stati Uniti. Avevo acquistato una di queste tessere già nel 2008, ma per una serie di altrui chiamate inopportune su cellulari si era esaurito il credito. Me ne venne ricomprata un'altra, al prezzo di 10 dollari, corrispondenti al valore fittizio di 150 unità telefoniche.
Ho usato questa tessera per chiamare in Italia nel corso dei miei successivi sei viaggi oltreoceano, senza pormi grossi problemi e prestandola anche occasionalmente ad altre persone. Ieri l'ho rispolverata per chiamare a casa dei miei, e prima ancora per chiamare l'assistenza della caldaia che mi stava frantumando i maroni da ore sul mobile. Come sempre, prima di far partire la chiamata, la gentile voce automatica dell'AT&T mi ha avvisato del credito residuo: 14 dollari e rotti, pari a più di 180 unità fittizie.
Cioè in tre anni questa tessera, oltretutto utilizzandola con frequenza, si è rivalutata del 40%.
Ho trovato il business della vita.

giovedì 14 novembre 2013

The Single Effect

Sto parecchio indietro con l'ascolto di dischi nuovi (non menziono quali perché me ne vergogno seriamente), di tanto in tanto riesco a sentire qualche brano singolo qua e là.
Posso abbozzare un breve elenco non troppo argomentato di pezzi in streaming che hanno meritato attenzione nelle ultime settimane.

I Mogwai hanno annunciato un nuovo album (con tour annesso, e relativa tappa italiana) per l'inizio del prossimo anno. Per fugare ogni dubbio, hanno deciso di anticipare "Remurdered".

Italiani che meritano un posticino su Stereogum con questa "No lesson", tratta dal nuovo disco uscito proprio in questi giorni, basterebbe anche solo ciò per creare curiosità attorno ai Soviet Soviet. Se devo aggiungere una parola, dico "riverbero".

Nulla di particolarmente innovativo per loro, come mediamente accade per tutto il sottogenere a cui appartengono; precisato ciò, anche le Dum Dum Girls promettono una nuova uscita discografica nel 2014 mettendo "Lost boys and girls club" come cauzione.

Mi è arrivato a casa il disco vecchio, e il singolo nuovo su vinile trasparente con spruzzi verdi. A febbraio esce il nuovo LP, e intanto "Captured heart" dei Be Forest sta su Soundcloud per tutti.

Niente di nuovo per i Cure, non fosse che per la prima volta hanno eseguito dal vivo il brano ventennale "Burn", una chicca per fan storici più che altro.

martedì 12 novembre 2013

The Lone Star State

Nel giro di un paio di mesi ho prima festeggiato il decimo anniversario di matrimonio con l'azienda per la quale lavoro, ho poi accolto con piacere una ventata di novità portata dal primo spostamento fisico di scrivania dopo 121 mesi, ed ora sono qui a celebrare un nuovo riposizionamento (anche gerarchico, ma qui si parla di quello fisico), che anni fa sembrava un sogno tanto bello quanto improbabile. Erano i tempi della gente che fischiettava e mi tirava fuori madonne come se piovesse, di ascelle chimiche e di condizionatori sparati a temperature polari, guerre di nervi e di posizione, il quieto vivere contrapposto al fegato che si ingrossava.

È arrivato ora il momento in cui ho un ufficio mio, una sorta di acquario con troppe vetrate che andranno gestite a dovere, una finestra persa sul giardino e una finestra guadagnata sul viale interno, esposta a ovest, dalla quale potrò ammirare gruppetti di metalmeccanici passeggiare avanti e indietro.

Non può mancare la consueta testimonianza fotografica, stesso filtro e stessi effetti della precedente per non mistificare troppo.


Mi sono riportato il dock per iPod, avrò ancora più bisogno di un nuovo calendario dei Peanuts e nessuno potrà più fregarmi gli ombrelli. Per la botola in cui infilarsi (con annesso sensore antirompicoglioni) è invece ancora un po' presto.

giovedì 7 novembre 2013

I've waited for you

Nove anni e mezzo come fosse niente.
Nel 2004 erano a quella roba mezza figa mezza mostruosa dell'Heineken Jammin' Festival, e io ero di fronte al palco, nella vasca davanti riservata a chi era arrivato presto e aveva il braccialetto, e di loro conoscevo poco più di nulla, giusto l'imperdibile per chi è di bocca buona.
Nel 2013 i Pixies sono tra i miei dieci gruppi preferiti, e qualche giorno fa loro stavano a Milano, e io ero sempre di fronte al palco, piuttosto davanti anche se un po' defilato, e penso di aver cantato, anche se ogni tanto in playback, per l'80% del concerto.
È cambiata la figura al basso, e questi rimpasti non sono mai indolori, ma nonostante la divergenza dalla lineup originale hanno picchiato per un'ora e quarantacinque minuti come dei fabbri, senza praticamente fermarsi mai, e la figura sempre più sferica di Frank Black dimostra una volta di più di meritare il posto nel gotha dell'alternative rock che è riservato a suo nome.
Una retrospettiva rumorosa attraverso il loro trittico delle meraviglie Come On Pilgrim-Surfer Rosa-Doolittle, qualche doverosa divagazione sui due album minori successivi (compresa la bella cover del pezzone "Head on" dei Jesus and Mary Chain, che non mi aspettavo e mi ha lasciato un po' di sasso), senza dimenticare i brani del recente EP1 che non sfigurano affatto.
Nota di merito per il pubblico, come quasi sempre accade quando l'età media è piuttosto elevata: si parte un po' freddi, poi ci si fa prendere dal crescente incedere e alla fine ci si lascia andare, senza mai raggiungere picchi di molestia intollerabile. Meno fotocamere e smartphone al cielo del solito, poca gente che si trovava lì per caso o per poter dire "sono stato a vedere i Pixies".
E giusto per alimentare un po' di invidia, casomai qualcuno ne avesse, questa è la scaletta.